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Crisi fiscale d’impresa e fallimento, il nuovo codice

Da oggi spira un vento del tutto nuovo e il codice della crisi e dell’insolvenza (CCII) è un grande passo avanti in tema di crisi fiscale d’impresa e fallimento


Codice della Crisi, non solo forma ma anche sostanza

In primis è del tutto evidente il fatto che la riforma va a modificare profondamente l’approccio nei confronti dell’imprenditore che si trova nel bel mezzo della tempesta. 

A cominciare dalla terminologia utilizzata. Sparisce il termine “fallimento” che viene sostituito dalla locuzione meno drammatica di “liquidazione giudiziale”, procedura interamente finalizzata alla liquidazione dei beni di un imprenditore o di una società che non riesce più a fare fronte ai propri debiti trovandosi in uno stato di insolvenza oramai irreversibile.

Ma qual imprenditore sarebbe folle da fare il tifo per questa soluzione? 

Probabilmente qualcuno che non ha nulla da perdere. Per te, che hai realizzato il sogno imprenditoriale con fatica e sacrificio, è sicuramente tutta un’altra storia. 

E allora, se le parole hanno un peso, il solo fatto che nel nuovo codice sparisce l’etichetta (terribile) del “fallito” è già di per sé un cambio epocale che perdurava nel nostro ordinamento fin dal lontano 1942. 


Crisi Fiscale d’Impresa e fallimento: le soluzioni, l’Italia più vicina al resto d’Europa

Ma questo non basterebbe se in tema di crisi fiscale d’impresa e fallimento non ci fosse molto di più.

La riforma, che avvicina l’Italia al resto d’Europa anche in tema di approccio alla crisi d’impresa, favorisce il passaggio da un contesto organizzativo incentrato sulla liquidazione dell’attivo alla promozione di procedure di regolamentazione delle crisi che favoriscano la continuità aziendale e il risanamento dell’impresa, ove possibile, e che si basino su una maggiore autonomia dei soggetti coinvolti, dal debitore ai creditori. 

Tuttavia, nell’intento del legislatore la liquidazione giudiziale assume un ruolo “residuale” in quanto considerata davvero l’ultima ratio nel caso di una grave ed irreversibile crisi aziendale. 

È un cambio epocale. Da una legge (quella del 1942) secondo cui “la mela marcia va eliminata dal paniere” (intendendo la mela marcia l’impresa in crisi ed il paniere il tessuto imprenditoriale del Paese), oggi si è passati al più moderno “la mela marcia va curata e rimessa sana nel paniere”.

Il malato si cura, non lo si lascia morire a meno che sia il medico stesso a decretare che non esiste alcuna speranza. Traslando il concetto e considerando l’impresa il nostro malato, ne consegue che la si lascerà morire laddove non esista anche una minima possibilità di tenerla in vita. 


Il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) come ultima spiaggia, meglio fare di tutto per curare il malato

Questo è ciò che lo stesso CCII pone al di sopra di tutto: la possibilità di avere un’alternativa, capace da un lato di salvaguardare gli interessi dello Stato e dei creditori, ma dall’altro di concedere all’imprenditore in buona fede e meritevole – spesso le crisi d’impresa scaturiscono da fattori contingenti e non per negligenza – un’ultima chance per uscire dal tunnel e ripartire sul mercato definitivamente “pulito e sano”. 

Ecco perché rispetto alla prospettiva del fallimento (o liquidazione giudiziale) si preferisce anteporre le domande di accesso agli strumenti volti alla ristrutturazione aziendale attraverso istituti come il concordato preventivo e soprattutto l’accordo di ristrutturazione dei debiti, entrambi con transazione fiscale. 

Insieme a tutto questo, è bene sapere che esiste anche il rovescio della medaglia. Innanzitutto il ruolo del curatore, sempre più centrale nelle procedure di liquidazione giudiziale. 

Con l’introduzione del codice della crisi egli acquista maggiori poteri che lo autorizzano a promuovere autonomamente le azioni di responsabilità verso l’imprenditore che non ha fatto nulla per evitare la morte della propria azienda, senza dover attendere il parere del comitato dei creditori e l’autorizzazione del tribunale.

E poi l’anticipazione del periodo sospetto per le azioni di recupero, non più a partire dall’apertura del fallimento, ma teoricamente molto prima, con potenziale grave danno per l’imprenditore che non ha messo in atto procedure di risanamento finché era in tempo per farlo.

Oggi il rischio di dover rispondere del proprio operato anche sotto l’aspetto penale è diventato altissimo. 

Quanto appena esposto ci fa capire due cose: 

  1. il ruolo degli amministratori e dei professionisti che li affiancano è diventato delicato e pieno di rischi;

  2. il fattore tempo è fondamentale: se si interviene quando si è ancora in tempo affiancati da consulenti esperti, è ancora possibile salvare la propria attività 

La transazione fiscale, il vero “saldo e stralcio” per le aziende 

In caso di crisi fiscale d’impresa e spettro fallimento prevenire è meglio che curare. Mai come in questo caso l’antico detto calza a pennello sul nostro ragionamento: intervenire già ai primi segnali di crisi – sfruttando a proprio favore strumenti sinora poco usati in parte anche per difetto di conoscenza – può diventare la soluzione vincente per scongiurare la liquidazione giudiziale, saldare il proprio conto il fisco e restituire slancio alla propria impresa. 

Tutto questo garantendo la continuità aziendale che significa conservare posti di lavoro, non interrompere la filiera con i fornitori e mantenere un rapporto di fiducia con i creditori. 

La transazione fiscale all’interno di un accordo di ristrutturazione del debito, se correttamente gestito e dopo aver impugnato il debito, rappresenta ad oggi il vero e unico saldo e stralcio per le aziende. Essa consente infatti di abbattere il proprio debito fiscale e commerciale mediamente del 70-80% e pagare il restante 20-30% in 4 o 5 anni. 

Sì, hai capito bene. Anche il debito fiscale. Perché oggi, una volta trovato l’accordo con i creditori e le banche, il fisco non ha più il potere di mandarlo in fumo come accadeva con il vecchio codice fallimentare. Sarà il giudice a stabilire se quell’accordo è congruo e conviene anche allo stato, potendo quindi concedere l’omologa anche in caso in cui l’Agenzia delle Entrate (e anche l’INPS) non risponda o esprima parere negativo. 

Come avrai capito, siamo di fronte ad uno scenario del tutto nuovo in tema di crisi fiscale d’impresa soprattutto per tantissimi imprenditori che, pur avendo fatto tutto il possibile, si trovano con le spalle al muro e non vedono la luce in fondo al tunnel. 


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